Continuando ad approfondire il concetto di diritto ad essere se stessi mi rifaccio ancora una volta al saggio Jean Vanier, che mentre sosteneva il diritto degli ultimi ad avere una vita dignitosa e piena di fatto pensava quel che dovrebbe avvenire per la vita di ogni uomo.
Ecco un altro brano tratto dal suo libro “La comunità luogo del perdono e della festa”:
“Spesso, nella vita comunitaria, ci si aspetta troppo dalle persone, e s’impedisce loro di riconoscersi e di accettarsi così come sono.
Le si giudica molto presto, o le si classifica in categorie. Esse sono allora obbligate a nascondersi dietro una certa maschera. Ma loro hanno il diritto di essere brutte, e di avere un mucchio di tenebre dentro di sé, e angoli ancora induriti nel loro cuore in cui si nasconde la gelosia e perfino l’odio! Queste gelosie, queste
insicurezze sono naturali; non sono “malattie vergognose”. Esse appartengono alla nostra natura ferita. È la nostra realtà. Bisogna impararle ad accettarle, a vivere con esse senza drammi, e a poco a poco, sapendosi perdonati, a camminare verso la liberazione.
Io vedo nelle comunità certe persone vivere una specie di colpevolezza inconscia; hanno l’impressione di non essere quello che dovrebbero essere. Hanno bisogno di essere confermate e incoraggiate alla fiducia. Hanno bisogno di sentire che possono condividere anche la loro debolezza senza essere respinte”.